Vol. 19, n. 3/2025 Creatività e follia (a cura di C. Paolucci, S. Bartezzaghi, L. Lobaccaro & F.V. Alessi)

2025-02-24

“In fondo noi viviamo nella convinzione che la saggezza sia la normalità e i pazzi siano delle eccezioni a cui un tempo provvedeva il manicomio. Ma è vero? Non bisognerebbe pensare che la condizione normale sia la pazzia e la cosiddetta normalità sia uno stato transitorio? Fuor di paradosso, non sarà più prudente convincerci che in ogni essere umano c’è una dose di follia, che per molti resta latente per tutta la vita, ma per molti altri esplode a tratti - ed esplode in forma non letale e talora produttiva in coloro che consideriamo geni, precursori, utopisti, ma in altri si manifesta con azioni che ci fanno gridare alla follia criminale?”

 

Con queste parole Umberto Eco, in una delle sue ultime Bustine di Minerva, “Siamo tutti matti” (Eco 2016: 465), si interroga sul rapporto che c’è tra normalità, follia e creatività. L’idea che tutti posseggano un germe di follia, e che questa possa esplodere ed esprimersi sotto una forma produttiva che chiamiamo creatività ha, in effetti, occupato un grande spazio nella cultura occidentale. Tracce del tema sono infatti già presente nel pensiero greco classico (Dodds 1951; Guidorizzi 2010), dove termini come mania ed entusiasmo indicano una forma di impossessamento da parte della divinità, che conduce tanto a connettersi con l’irrazionalità del mondo, restituendola sotto forma di arte, quanto a divenirne una parte all’interno delle comunità, sotto forma di follia. Attraversando diverse epoche e temperie culturali il rapporto tra l’universo della follia e quello della creatività si è rafforzato assumendo la forma di correlazione e, in alcuni casi, persino di implicazione (cfr. Becker 1978; 2014; Wittwoker & Wittwoker 1963).

Nel corso dei secoli, si è andata dunque delineando quella che, a tutti gli effetti, costituisce una delle grandi mitologie del nostro tempo (Barthes 1957): una mitologia che associa, in un rapporto di presupposizione reciproca, la creatività, intesa come pensiero divergente che orienta una produzione originale perché fuori norma (cfr. Bartezzaghi 2021), e la follia, figura attraverso cui i sistemi culturali, a partire dalle assiologie valoriali assunte, istituiscono linee di demarcazione tra razionale e irrazionale (Foucault 1961).

Il discorso della cultura pullula ancora oggi di rappresentazioni che rilanciano questa mitologia, attualizzandola nei mille piani della nostra enciclopedia (Eco 1984) e dei domini che ne regolano il funzionamento. La figura del genio folle, la cui eccezionalità è supportata da una sregolatezza dissennata, costituisce ad esempio uno stereotipo radicato nei discorsi e nelle pratiche della cultura (cfr. Paolucci 2017, 2020), dall’ambito sportivo a quello culinario, passando per quello artistico, sino a quello scientifico e psicologico. Risulta, infatti, tanto evidente quanto attuale la proliferazione di discorsi culturali, di diverso tipo e genere, che incarnano e rinsaldano una identificazione tra la creatività, considerata come produzione semiotica divergente dalla norma, e la follia, come ciò che diverge patologicamente da una normalità istituita. In termini semiotici, il risultato di questa identificazione posiziona il creativo e il folle come figure di confine all’interno di una semiosfera (Lotman 1984), figure di scambio con un’alterità non riconosciuta e portatrici di verità su una realtà altra inattingibile agli altri “normali”, tanto innovativa quanto potenzialmente minacciosa.

Tali rappresentazioni sono rintracciabili, ad esempio, in produzioni cinematografiche dedicate al tema (si pensi, ad esempio, a Black Swan di Darren Aronofsky), in mostre d’arte sul tema della creatività della follia, o della follia della creatività, spesso focalizzate su singoli artisti che vengono assunti come istanze esemplificative di questo legame (come ad esempio Ligabue e Van Gogh), in biografie e discorsi pubblici su figure distintesi nonostante, e forse proprio grazie, alla propria “anormalità” (solo per citarne alcuni nei più diversi domini: Einstein, Maradona, Anthony Bourdain, Kanye West), in discorsi politici e giornalistici in cui, ad esempio, figure come quelle di Elon Musk assumono i tratti e le caratteristiche del genio folle (e pericoloso).

Parallelamente, a partire dagli studi di Lombroso su Genio e follia (1872), sempre più si è tentato di offrire una verifica empirica di questo legame, ancorando il genio e il folle a comuni radici neurofisiologiche, genetiche o psichiche. In questa operazione, di volta in volta, sono stati convogliati all’interno del discorso scientifico stereotipi prodotti in altri domini della cultura, sia circa il concetto di follia sia su quello di creatività, provocando nel corso del tempo una proliferazione di posizioni spesso incompatibili quando non contraddittorie. È, ad esempio, il caso dell’idea che la creatività sia ascrivibile a un solo emisfero cerebrale, il destro, con la conseguenza che la creatività della follia venga correlata una alterazione del funzionamento neurotipico di uno dei due emisferi, in base al modello e alla concezione di psicopatologia o neurodivergenza sposati. Ne risultano così due diverse teorie sulla creatività nei disturbi dello spettro autistico (ASD), che si affidano ad evidenze contrastanti rilevando ora un iperfunzionamento dell’emisfero sinistro (Baron Cohen 2023), ora un iperfunzionamento dell’emisfero destro (Dell’Osso & Lorenzi 2018).

Inoltre, numerosi studi di tipo storiometrico (Post 1994), epidemiologico (Kyaga et al. 2011), neurocognitivo (Carson 2011) e psicologico (Kyaga 2014; Kaufman 2014), spesso proprio a partire dall’implicita assunzione di un modello di creatività definito acriticamente come forma di pensiero divergente (Guilford 1950), puntano a mostrare come esso si sovrapponga alla follia. In alcuni casi, alle psicopatologie e neurodivergenze è stata ascritta la capacità di garantire quell’estro e quella forma di pensiero divergente ritenuti necessari all’espressione creativa: ciò ha condotto a numerosi tentativi di diagnosi a ritroso volte a identificare nei geni del passato psicopatologie o neurodivergenze a cui oggi si riconosce un potenziale di creatività (Dell’Osso, Toschi, Amatori 2023; Bogousslavsky & Boller 2005). Tale operazione, nel tentativo nobile di offrire un quadro diverso della follia sottolineandone le caratteristiche produttive, rischia di ridurre la complessità dietro le opere di genio, schiacciandole su una loro presunta origine psicopatologica, contribuendo così al rafforzamento dello stereotipo, tanto da arriva così a identificare, ad esempio, l’opera di Leopardi con il quadro depressivo dell’autore, o quella di Wittgenstein con un presunto disturbo dello Spettro autistico (Fitzgerald 2004).

Eppure, qualcosa sul legame tra genio e follia sfugge tanto agli scettici quanto ai convinti sostenitori di tale mitologia. Infatti, se da una parte i dati statistici (Simonton 2019) e neuroscientifici (Abraham 2024) non paiono confermare correlazioni sufficientemente robuste tra i due fenomeni, dall’altra non si può ignorare che, senza una condizione psicopatologica e le sue relative esperienze e forme di pensiero, non avremmo alcune strabilianti e affascinanti opere che nella nostra storia culturale sono state considerate creative e che hanno aperto addirittura margini di comprensibilità della condizione patologica stessa (Jaspers 1954). Rimane altrettanto difficile negare che vi sia una forma di creatività nelle soluzioni deliranti, nella costruzione di mondi paranoici, nei linguaggi della follia, nelle modalità di abitare il mondo di soggetti considerati divergenti (Pennisi 1998; Pennisi et al. 2021; Bucca 2024; Lobaccaro 2024), così come nella loro produzione espressiva e artistica (Prinzhorn 1914; Andreoli 1974). Inoltre, è stato rilevato come i tratti espressivi relativi ad alcune condizioni psicopatologiche rassomigliano da vicino ad alcune delle forme espressive e di pensiero di percorsi artistici e filosofici, come mostrato dallo studio sui legami tra schizofrenia e modernismo (Sass 1992). Un tale legame fornisce, da una parte, strumenti ermeneutici atti alla comprensione di alcune forme psicopatologiche, mentre dall’altra ci permette di comprendere meglio come e perché in determinati periodi storici sia sorto un interesse di pubblico per le produzioni artistiche di geni devianti, o di devianti poi considerati geniali (Bedoni 2009).

Infine, si deve anche tener conto di altri legami tra follia e creatività che si collocano fuori dallo stereotipo del genio folle, ma che producono degli effetti pratici per il miglioramento delle vite delle persone con diagnosi psichiatriche. Ne sono un esempio i modelli di terapia focalizzati sul gesto e sul pensiero creativo, che sembrano condurre al miglioramento delle condizioni dei pazienti permettendo loro una maggior consapevolezza e una maggiore capacità di esprimere il loro disagio (Levine & Levine 1998), quando non una modificazione della plasticità cerebrale (Richard & Pelowski 2023). Allo stesso modo, ampliando e distribuendo il concetto di creatività, si apre alla possibilità di riflettere sul sempre maggior coinvolgimento delle persone con disturbi e neurodivergenze all’interno dei processi collettivi del design creativo come, ad esempio, nel contesto di progettazione degli spazi (Vanolo 2024), nell’elaborazione di modelli didattici o di implementazione di nuove tecnologie e mondi multimediali (Cottini, Pascoletti, D’Agostini 2023; Thierry Giuliana 2024).

Questa Special Issue di RIFL, organizzata nell’ambito del progetto PRIN 2022 SACre-D. Schizophrenia, Autism and the Myth of Creativity. An Interdisciplinary Perspective on Psychopathological Expression and its Digitalization, mira a riflettere sulle relazioni tra i concetti relativi al campo semantico della creatività (ad es. genio, arte, espressione, intuizione, talento, improvvisazione, spontaneità, associazione, pensiero divergente, estro, invenzione) e quelli relativi al campo semantico della follia (ad es. psicopatologia, neurodivergenza/neurodiversità, invasamento, pazzia). Si incoraggia a sottoporre riflessioni teoriche o analisi di casi di natura interdisciplinare o relative a metodologie specifiche quali semiotica, filosofia del linguaggio, psicopatologia dell’espressione, psichiatria, scienze cognitive, neuroscienze, filosofia della psichiatria e della psicologia, intelligenza artificiale, sociologia e studi letterari.

Papers exploring, but not limited to, the following topics are welcome:

  • Indagine su fasi storiche e fenomeni culturali che hanno rafforzato il legame tra follia e creatività in uno o più domini della nostra cultura, con particolare attenzione alla decostruzione di questa vera e propria mitologia contemporanea.
  • Riflessioni teoriche sul concetto di creatività e sui motivi per cui esso può essere avvicinato all’universo della follia.
  • Indagini sulle teorie che connettono creatività e follia (a titolo di esempio le teorie di Lombroso, Freud, Jaspers, Jung, Pessoa, etc.).
  • Indagini psicologiche, cognitive e neuroscientifiche sul nesso tra creatività e follia.
  • Indagini sulle diverse forme espressive psicopatologiche, linguistiche e non linguistiche.
  • Analisi su prodotti culturali che rilanciano o mettono in discussione il mito del genio folle (film, mostre, discorsi pubblici, biografie di personaggi famosi, programmi tv, talk show, etc.).
  • Analisi e discussione critica dei legami, effettivi o presunti, che le grandi opere di genio intrattengono con le condizioni psicopatologiche degli autori (es. Artaud, Van Gogh, Bolanyi, Merini, Nietzsche, Einstein, Ligabue, Nash, Temple Grandin, Campana, etc.).
  • Analisi di produzioni psicopatologiche apprezzate dal grande pubblico e che hanno influenzato la cultura (ad esempio i gatti di Louis Wain, i movimenti di Art Brut, le Memorie di Schreber, etc).
  • Indagine e analisi di forme di intervento creative e artistiche in casi di disturbi del neurosviluppo o psicopatologie.
  • Design creativo e inclusione sociale in casi di disturbi del neurosviluppo o psicopatologie.

 

La rivista pubblica articoli in lingua italiana e inglese.

Il manoscritto, inviato in forma anonima, deve essere corredato da un abstract (non più di 250 parole), il titolo e cinque parole chiave in lingua inglese.

Il manoscritto deve essere preparato e inviato utilizzando il template della rivista, che può essere scaricato da qui: http://www.rifl.unical.it/authortemplate/template_ita.doc. L’autore invierà anche un altro file che conterrà il nome, l’affiliazione e il titolo del manoscritto. Il manoscritto e il file devono essere inviati in formato .doc o .rtf a segreteria.rifl@gmail.com.

 

Consegna manoscritti entro il  30 giugno 2025

Data di pubblicazione: dicembre 2025

 

 

Bibliografia

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